“Nonna Cicchitelli”, così la chiamavo, per cognome, anzi il cognome del marito, tanto era autoritaria, mia nonna, solo lei. La disciplina caratterizzava le sue giornate.
Dopo la morte di mio nonno, rimasta sola, portava avanti la sua vita con il ritmo che lei dava ad essa. Non saltava mai un pasto, cucinava per lei. Non si faceva mancare il “pan cotto”, un piatto tipico della nostra civiltà contadina. Non mancava mai di apparecchiare la tavola e riguardo al ciclo sonno-veglia, lo rispettava come un orologio ad alta precisione.
L’unica occasione in cui si concedeva uno “straordinario” era in occasione delle caldarroste. E così più si avvicinava San Martino, più gli “straordinari” aumentavano di pari passo con le castagne che cuoceva mio padre.
Prima di cuocerle, però, le “castravamo”, incidendo la pancia con un coltello, per evitare che scoppiassero. Mio padre le cuoceva in una apposita padella di ferro, traforata, a manico lungo, per non bruciarsi le mani. In mancanza di questa, oggi, se il desiderio supera di gran lunga ogni tipo di impedimento, si può utilizzare una graticola. “La fiamma deve essere vivace” diceva mio padre. Lui si divertiva a far saltare le castagne in padella, che facevano dei gran voli e non ne cadeva mai una fuori , nel grande camino che lui stesso aveva costruito.
Alla fine mettevamo le castagne in un sacchetto di carta, chiuso, per farle “ccorà”. Da lì a poco iniziava la “sagra” delle caldarroste, intorno alla rola ed eravamo mia madre, mio padre, mia nonna ed io.
Alla fine, ma anche all’inizio, il buon vino cotto non doveva assolutamente mancare.